TAMNAʿ

Nome Arabo

هجر كحلان

Nome antico

Tamnaʿ

Regione

Shabwah Governorate

Coordinate

15.019412, 45.801760

L’avvio nel 1999, di una serie regolare di campagne di scavo nella città di Tamna‘ costituisce il più recente impegno della Missione Archeologica Italiana nello Yemen (Fig. 1). L’iniziativa, nata grazie alla concessione di scavo rilasciataci dall’allora Presidente delle Antichità Prof. Yusuf M. ‘Abdallāh e finanziata con fondi del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, del Ministero degli Affari Esteri (DGPCC) e dell’IsIAO (Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente) di Roma, fu condotta in compartecipazione con i filologi Francesi dell’IREMAM (Institut de Recherches et d’Études sur les Mondes Arabes et Musulmans) di Aix-en-Provence (Prof. Ch. J. Robin) nell’ambito di un programma comune di ricerche sull’antico Qatabān. Dopo Marib, capitale dei Sabei, Tamna‘ fu certamente la più grande e celebre città dell’Arabia Felix. Capitale dei Qatabaniti (c. 700 a.C. – II sec. d.C.), “Tomna” – come la chiamava Plinio il Vecchio – fu nota soprattutto per il suo ruolo commerciale: da essa partiva, infatti, la “Carovaniera dell’incenso” che portava fino al Mediterraneo le numerose e preziose risorse dell’Oceano Indiano (l’antico Mare Erythraeum).

Fig. 1 – Vista della città di Tamna‘/Hajar Kuhlān
dalla collina di Ḥayd Ibn ʿAqīl.
Fig. 2 – Tamna‘. Veduta del tempio di Athirat
dopo gli scavi del 2000.
Fig. 3 – Tamna‘. Piazza del Mercato: in primo piano
la casa B/B (bayt Ya‘ūd).
Fig. 4 – Tamna‘. La stele iscritta nella Piazza del Mercato
recante i decreti reali che regolavano
il commercio nella città.
Fig. 5 – Tamna‘. Ricostruzione della Piazza del Mercato
sulla base degli edifici scavati sino al 2004.
Fig. 6 – TT1: veduta generale dell’edificio dopo l’intervento
di scavo della Missione italo-francese.
Fig. 7 – La necropoli di Ḥayd Ibn ʿAqīl
vista dalla base della collina.

La sua fortuna fu dovuta sì alla sua posizione protesa nel deserto (nel Wādī Bayhan), ma anche all’egemonia politica di cui il Regno del Qatabān godette in Arabia meridionale tra il IV sec. a.C. ed il I sec. d.C. La rovina di Tamna‘, chiamata Hajar Kuhlān dal nome del piccolo villaggio che la sovrasta, è imponente, formando un pianoro ovale di circa 25 ettari elevato di 10-15 m sul piano di campagna. Tra il 1999 ed il 2009 la Missione italiana vi ha condotto una serie di campagne di scavo e di ricerche, nella città e nella necropoli di Ḥayd Ibn ʿAqīl.

Nella zona nord-occidentale della città (settore A) si è messo in luce un imponente tempio a corte (Fig. 2) che, secondo le analisi stratigrafiche, è stato fondato intorno al IV-III sec. a.C. Esso restò in uso, con varie ricostruzioni (tra cui un annesso santuario ipostilo), fino al periodo della distruzione finale della città nel I-II secolo d.C. Si tratta di un santuario nuovo, importante sia dal punto di vista dell’architettura che da quello della storia. La pianta, inusuale, va ad arricchire la nostra conoscenza dell’architettura templare sudarabica, mostrandoci le influenze che in questo campo ebbe il mondo classico mediterraneo. Il muro di fondo del tempio costituiva anche un tratto delle mura di difesa della città, ciò che dimostra che a Tamna‘ la cinta muraria non era un’opera unitaria, ma era costituita dalla giustapposizione dei muri esterni dei suoi edifici perimetrali. Il tempio, come dicono le numerose iscrizioni rinvenute in situ, era dedicato alla dea Athirat, divinità patrona della città qatabanita di Haribat, situata non lontano nel Wādī Harīb. L’imponenza dell’edificio denota la considerazione di cui godeva la dea a Tamna‘ e, di conseguenza, l’importanza che vi aveva la comunità provinciale di Haribat (l’antica Caripeta di Strabone).

Gli scavi nel Settore B, ubicato al centro della città (Fig. 3), si sono concentrati nella cosiddetta “Piazza del Mercato”, e precisamente nella sua parte orientale, orbitante attorno al famoso “Market Obelisk” (Fig. 4). Le iscrizioni, che questa stele monolitica di granito reca nelle sue quattro facce, riguardano un importantissimo codice di leggi che, emanato dal re, regolava il mercato internazionale di Tamna‘. Gli scavi, condotti qui per quattro campagne, hanno messo in luce dieci case private (Fig. 5), che ci consentono di apprezzare per la prima volta la grandiosità dell’abitato e del’urbanistica di Tamna‘, offrendoci nel contempo l’opportunità di valutare con più precisione il periodo di massima fioritura della città e, indirettamente, del Regno di cui essa fu capitale. Le costruzioni sono grandi e raffinate, e la loro importanza è dimostrata dalle iscrizioni, che riportano i loro nomi, murate sulle facciate di alcune di esse: “bayt Ya‘ūd” per la casa B/B, “bayt Khamrān” per la casa B/H (un vero e proprio palazzotto, date le sue grandi dimensioni), “bayt Yaghūl” per la casa B/I. Delle case restano i soli piani di base in pietra, ma, da quanto si può capire dai crolli, su di essi poggiavano uno o due piani fatti con moduli di mattoni crudi contenuti da complesse ed accurate tralicciature lignee. L’aspetto planimetrico e strutturale di tali basamenti rettangolari in pietra (tripartiti longitudinalmente e con un ambiente trasversale di fondo) è caratteristico, e distingue l’architettura civile sudarabica. Tutte questi edifici furono distrutti e incendiati nel I-II sec. d.C. Alcuni carboni delle travi degli alzati, analizzati al C14, datano la loro costruzione a partire dalla fine del IV o dall’inizio del III sec. a.C., data che la paleografia delle iscrizioni inaugurali sembrerebbe confermare. Le case del mercato di Tamna‘ non solo creano squarci di luce nella vita quotidiana dei Qatabaniti e dei mercanti loro ospiti, ma anche, con le loro piante modulari e la loro peculiare struttura, ci danno informazioni più precise circa il ben noto e canonico (così come enigmatico) modello della bayt sudarabica, e ciò ci consente oggi di riconsiderare il ruolo che essa ebbe nella storia dell’architettura dello Yemen pre-islamico e, in senso più largo, di avanzare nuove ipotesi sulla sua origine e la sua diffusione lungo il margine occidentale della Penisola Araba.

La Missione italiana ha, inoltre, messo in luce in tutta la sua imponenza il Palazzo Reale o Grande Tempio (TT1), scavato per la prima volta dalla American Foundation for the Study of Man nel 1950 (Fig. 6). Nel 2003 e 2004 si sono avviati scavi sistematici a Ḥayd Ibn ʿAqīl (Fig. 7), la necropoli di Tamna‘, dove le tombe familiari contenevano ricchi corredi, come ritratti, stele, oggetti di ornamentazione personale e ceramica. Dal 2007 al 2009 la Missione si è dedicata allo studio della ceramica, delle sculture, dei bronzi e delle iscrizioni provenienti dagli scavi.